Sviluppata dai Macedoni, studiata dai Romani dal secondo secolo a.C., la balista sfruttava la torsione di corde per scagliare a grandi distanze pietre e giavellotti. Il suo nome deriva infatti dal verbo greco βαλλω, il cui significato è "lanciare".
La balista era prevalentemente costruita in legno con alcuni particolari metallici. La struttura principale, costituita dal meccanismo di torsione delle corde e da una trave passante per quest'ultimo, era sorretta da un
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"Appena Cesare si accorse di ciò, diede ordine che le navi da
guerra, non conosciute dai barbari e più agili nella navigazione,
si allontanassero dalle navi da carico e, mosse dai remi, si portassero
verso il fianco destro, scoperto, del nemico e che cercassero di respingerlo
mettendo in azione le loro armi da gitto: fionde, dardi, baliste".
Libro IV, XXV; pagina 217. |
cavalletto di legno. Il meccanismo di torsione era costruito in questo modo: due matasse di corde parallele erano attraversate da due pali; questi erano collegati ad un carrello, ospitato sulla trave perpendicolare e connesso con una fune ad un argano. Agendo su quest'ultimo, il carrello percorreva la trave mettendo in tal modo in torsione le corde delle due matasse. Infine, azionando un dispositivo di bloccaggio, il proiettile, ospitato in un apposito alloggiamento sul carrello, veniva scagliato. La gittata massima era di oltre 450 m e la traiettoria era meno parabolica di quella ottenuta con un onagro; il tiro poteva essere corretto spostando orizzontalmente e verticalmente la struttura.
La balista trovò impiego durante la campagna di Gallia e nella spedizione in Britannia; successivamente divenne un'arma diffusa nell'esercito romano e costantemente migliorata. Tuttavia, al tiro più diretto della balista, i Romani preferivano il tiro parabolico dell'onagro, capace di scavalcare le difese e di colpire nemici assediati.
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