domenica 29 giugno 2014

Indice

                                                                           
La guerra gallica



Introduzione                   
                                                                            

Ingegneria civile
L'accampamento romano
Murus gallicus
Il ponte sul Reno


Mezzi da trasporto e da combattimento                                                                                                     
Le navi dei Veneti                                                                                                        
Le navi dei Romani                                                                                                    
Il carro dei Britanni


Tormenta
L'onagro
La balista
Lo scorpione                                                                                                    


Alla fine del blog
Abbecedario
Indice















Abbecedario

A  Alesia;
B  balista;
C  carro
D  dardo;
E  Edui, popolo importante per il supporto logistico;
F  fossato, scavato attorno all'accampamento romano; 
Gergovia;
H  Helvetii, per bloccare il passaggio dei quali Cesare fece innalzare una lunga fortificazione;
I   isola, la Britannia, raggiunta con un'imponente flotta;
L  legionario, combattente ma anche operaio;
M  marina, fondamentale contro i Veneti;
N  navi, utilizzate da Cesare nella battaglia contro i Veneti;
O  oceano, l'Atlantico, nel quale avvenne la battaglia contro i Veneti;
P  ponte, fatto costruire da Cesare sul Reno;
Quinto Tullio Cicerone, uno dei legati di Cesare, persone fondamentali per l'organizzazione tecnica e strategica delle legioni;
R  Reno, fiume sul quale Cesare fece costruire il ponte;
S  scorpione;
T  terrapieno, posizionato intorno all'accampamento romano;
U  Uxelloduno, città fortificata dei Cadurci;
V  vela, particolare importante delle navi dei Veneti; 
Z  zattere, costruite dagli Elvezi per attraversare il Rodano.

mercoledì 25 giugno 2014

Le navi dei Romani

   Per prepararsi alla guerra contro i Veneti, Cesare diede ordine di costruire una potente flotta; la potenza di questo popolo risiedeva infatti nella marina e battaglie navali sarebbero state inevitabili.
   In generale, le navi da guerra romane variavano in funzione del numero di rematori; la più comune era la trireme, così chiamata perchè dotata di tre serie di rematori. Uno dei punti di forza era il rostro, con il quale le navi romane speronavano le navi nemiche provocando ingenti danni; tuttavia, rispetto alle navi dei Veneti, le navi romane avevano il solo vantaggio, come afferma Cesare stesso, "della celerità e della forza dei rematori" (Libro III, XIII; pagina 167) . Non potendo danneggiare le navi nemiche con i rostri, i Romani seppero unire la velocità e la forza delle loro navi con l'uso di falci per sviluppare una nuova ed efficacissima tecnica di combattimento, descritta come segue da Cesare.

   "Ma vi era un'arma di grande utilità preparata dai nostri: delle falci taglientissime conficcate ed inchiodate a lunghe pertiche, di forma non dissimile da quella delle falci murali. Queste afferravano e tiravano a sè le funi che legavano i pennoni e le vele agli alberi e le stroncavano, mentre le navi acceleravano la corsa a forza di remi. Una volta tagliate le funi era inevitabile che le vele cadessero, e poichè tutta la forza delle navi galliche era riposta nelle vele e nelle altre attrezzature, perdute quelle, esse erano ridotte all'impotenza...Abbattute le vele, come abbiamo detto, parecchie navi romane circondavano ciascuna una nave veneta ed i soldati si lanciavano all'abbordaggio." (Libro III, XIV-XV; pagine 169,171).
   I Romani ebbero dunque il pregio non solo di aver sviluppato conoscenze tecniche tali da realizzare navi di tutto rispetto, ma anche la capacità pratica di saperle utilizzare al meglio in ogni occasione.

giovedì 19 giugno 2014

Il carro dei Britanni

   Nel libro quarto abbiamo una descrizione del modo di combattere con i carri, tipico delle popolazioni della Britannia. Dalla descrizione di Cesare possiamo dedurre una certa resistenza e maneggevolezza di questi mezzi, che crearono un primo scompiglio tra le legioni; il passo interessato è il seguente.
   "Così in battaglia hanno contemporaneamente la mobilità dei cavalieri e la stabilità dei fanti, e, per l'abilità acquistata con l'esercizio quotidiano, sono capaci di frenare anche in luogo scosceso i cavalli spinti a galoppo, di manovrare facilmente, di correre avanti, afferrare il giogo dei cavalli, e poi, sveltissimi, ritirarsi nei carri." Libro IV XXXIII; pagina 227.
   Una tale "nonchalance" può essere permessa solo da una solida struttura, testimonianza implicita di una cultura tecnologica.

sabato 14 giugno 2014

Il ponte sul Reno

  

 
Il ponte di Cesare sul Reno, John Soane 1814. 
  

   Capolavoro di ingegneria, opera imponente, completata in soli dieci giorni, il ponte sul Reno è forse la migliore testimonianza della superiorità tecnologica dei Romani tanto nel settore civile che in quello militare. Conscio di non poter fare di meglio, sia per sintesi che per chiarezza, riporto le parole di Cesare per descrivere l'opera.
   "Fece costruire il ponte così: vennero congiunte a due a due, alla distanza di due piedi, delle travi dello spessore di un piede e mezzo, molto appunrite nell'estremità inferiore e di altezza commisurata alla profondità delle acque. Queste travi si calarono nel fiume per mezzo di macchine e si conficcaro con battipali, non diritte e perpendicolari come le comuni palafitte,  ma inclinate come i tetti, nel senso della corrente del fiume; poi vennero collocate di fronte a ciascuna coppia, a quaranta piedi di distanza, ma in senso contrario alla corrente, altre file di travi, legate allo stesso modo a due a due.


Sopra queste coppie di travi vennero incastrati pali grossi due piedi (tanta era la distanza di una trave e l'altra di ogni coppia) che le tenevano distaccate ed erano assicurati, alle loro estremità, con due ramponi che impedivano alle coppie di avvicinarsi. Con queste palafitte, tenute distaccate e collegate in direzione contraria, si otteneva una costruzione così salda e così ben congegnata che quanto più violenta fosse stata la corrente, tanto più il sistema sarebbe stato strettamente legato. Si appoggiarono, poi, sulle traverse delle travi collocate per il lungo, che furono ricoperte con tavole e graticci. Oltre a ciò, altre travi furono disposte, in senso obliquo, come dei contrafforti, e collegate a tutto il resto, verso il lato a valle del ponte perchè contribuissero a sostenere la forza della corrente. A monte e a poca distanza dal ponte vennero confitte altre travi, come difesa per il caso che i barbari, per abbattere la costruzione, vi mandassero contro tronchi di alberi o navi: sarebbe stato, in tal modo, attutito l'urto e preservato il ponte da eventuali danni." Libro IV XVII; pagina 207.

         

sabato 31 maggio 2014

Murus gallicus

   Tra le pagine dell'opera di Cesare troviamo un'accurata descrizione del murus gallicus, tecnica di costruzione utilizzata dalle popolazioni della Gallia per erigere le mura delle città. Affido la sua descrizione direttamente alla chiarezza del testo di Cesare.
   
    "Le mura delle città galliche erano, generalmente, costruite in questo modo. Venivano collocate a terra delle travi perpendicalari all'andamento del muro e per tutta la sua lunghezza, distanti tra loro due piedi. Queste travi erano collegate tra loro nella parte interna della costruzione e coperte con molta terra. Il rivestimento esterno era formato da grossi blocchi di pietra, resi più solidi incastrandoli negli spazi tra palo e palo. Su questo primo strato, rassodato, ne veniva aggiunto un secondo che conservava gli stessi intervalli, in modo che le travi non si toccassero, ma che ogni trave, a pari distanza dalle altre, poggiasse sui sassi frapposti e ne restasse saldamente unita. E così di seguito era fatta tutta l'opera, fino a completare l'altezza voluta. Questa costruzione non era brutta all'apparenza, offrendo la varietà dell'alternarsi di travi e sassi, che conservavano in linee diritte i loro ordini, ed era poi molto adatta alla difesa delle città, in quanto le pietre garantivano contro gli incendi e il legname contro i colpi dell'ariete, che non poteva sbriciolare il muro, nè sradicare le travi, collegate come erano all'interno con traverse della lunghezza di quaranta piedi." Libro VII XXIII; pagina 389.

giovedì 29 maggio 2014

Lo scorpione

   Discendente diretto della balista, lo scorpione si distingueva per le ridotte dimensioni che garantivano un agevole trasporto ed uso sul campo di battaglia. Venne sviluppato da ingegneri romani in tarda età repubblicana e divenne in breve tempo una delle armi più diffuse nell'esercito romano.


"Un Gallo, davanti a una porta della città, gettava nel fuoco in direzione
della torre pezzi di sego e di pece che gli venivano dati con passaggio
di mano in mano; fu colpito al fianco destro da una saetta lanciata da
uno scorpione e cadde morto. Uno di quelli che gli erano più
vicini, scavalcò il cadavere ed assunse la sua stessa funzione; costui fu
colpito a morte nello stesso modo e un altro lo sostituì, poi un quarto
sostituì il terzo..." Libro VII XXV; pagina 392. 

    Il meccanismo di lancio era del tutto simile a quello della balista. Anche in questo caso, la spinta di lancio era ottenuta tramite due fasci di corde parallele, attraversati entrambi da due pali distinti. Le estremità di quest'ultimi erano collegate ad un carrello, sul quale giaceva l'alloggiamento per il proiettile. Il carrello era posizionato su una trave passante attraverso lo spazio presente tra le due matasse di corde. L'intera struttura era sorretta da un cavalletto. Lo scorpione scagliava dardi di 70 cm circa con tiro diretto. Si otteneva una buona precisione fino ai 100 m; la gittata utile era di circa 400 m.
   Lo scorpione, apprezzato per la sua precisione e per la facilità di trasporto, venne usato diffusamente dall'esercito romano. In particolare, venne impiegato nel tiro di precisione o, sfruttando tutta la sua gittata, in batteria, per svoltire le linee nemiche.

domenica 25 maggio 2014

La balista

   Sviluppata dai Macedoni, studiata dai Romani dal secondo secolo a.C., la balista sfruttava la torsione di corde per scagliare a grandi distanze pietre e giavellotti. Il suo nome deriva infatti dal verbo greco βαλλω, il cui significato è "lanciare".
   La balista era prevalentemente costruita in legno con alcuni particolari metallici. La struttura principale, costituita dal meccanismo di torsione delle corde e da una trave passante per quest'ultimo, era sorretta da un 
"Appena Cesare si accorse di ciò, diede ordine che le navi da
guerra, non conosciute dai barbari e più agili nella navigazione,
si allontanassero dalle navi da carico e, mosse dai remi, si portassero
verso il fianco destro, scoperto, del nemico e che cercassero di respingerlo
mettendo in azione le loro armi da gitto: fionde, dardi, baliste".
Libro IV, XXV; pagina 217.
cavalletto di legno. Il meccanismo di torsione era costruito in questo modo: due matasse di corde parallele erano attraversate da due pali; questi erano collegati ad un carrello, ospitato sulla trave perpendicolare e connesso con una fune ad un argano. Agendo su quest'ultimo, il carrello percorreva la trave mettendo in tal modo in torsione le corde delle due matasse. Infine, azionando un dispositivo di bloccaggio, il proiettile, ospitato in un apposito alloggiamento sul carrello, veniva scagliato. La gittata massima era di oltre 450 m e la traiettoria era meno parabolica di quella ottenuta con un onagro; il tiro poteva essere corretto spostando orizzontalmente e verticalmente la struttura.
   La balista trovò impiego durante la campagna di Gallia e nella spedizione in Britannia; successivamente divenne un'arma diffusa nell'esercito romano e costantemente migliorata. Tuttavia, al tiro più diretto della balista, i Romani preferivano il tiro parabolico dell'onagro, capace di scavalcare le difese e di colpire nemici assediati.  

mercoledì 30 aprile 2014

L'onagro

   Le conoscenze tecniche dei Romani erano all'avanguardia anche nella costruzione di tormenta, macchinari in grado di lanciare proiettili pesanti. Il generico nome latino è legato al comune meccanismo usato per ottenere la spinta di lancio, basato sulla torsione di corde. Nel testo di Cesare è riportato l'uso di queste armi; le più comuni erano l'onagro, la balista e lo scorpione. 
"I nostri accorsero alle difese, ciascuno al posto che giorni prima gli era
stato individualmente assegnato; respinsero i Galli con le fionde da pietre
di una libbra, con pali che avevano disposto sulla linea di difesa,
e con grossi proiettili. La notte non permetteva visibilità alcuna; molte
furono le perdite da entrambe le parti".  Libro VII, LXXXI; pagina 463. 
   Progettato per lanciare pietre di grandi dimensioni a distanze relativamente elevate, l'onagro aveva una massiccia struttura in legno all'interno della quale era ospitato il meccanismo di lancio. Quest'ultimo era costituito da una matassa di corde, da un braccio inserito nella matassa e da un palo, contro il quale si esauriva la corsa del braccio. La spinta di lancio era ottenuta nel seguente modo: un argano, azionato dai serventi, metteva in tensione le corde della matassa; con questa operazione veniva abbassato il braccio, all'estremità del quale era presente un alloggiamento per il proiettile. Facendo scattare un dispositivo di bloccaggio, il braccio iniziava la sua corsa e scagliava il proiettile dopo aver impattato sul palo. Quest'ultimo aveva una duplice funzione: da un lato imprimere una spinta di lancio maggiore, dall'altro regolare la traiettoria del proiettile modificando l'inclinazione.
   Il vantaggio principale di quest'arma era legato proprio alla traiettoria indiretta e regolabile del proiettile che, raggiungendo altezze elevate, riusciva a superare eventuali fortificazioni e a colpire il nemico.    

lunedì 28 aprile 2014

L'accampamento romano

   I Romani avevano ben chiara l'importanza dell'ingegneria applicata al settore militare. La legione non era costituita infatti da semplici soldati, ma da soldati che all'occorrenza diventavano operai in grado di costruire ponti, scavare fossati e di innalzare imponenti opere difensive e offensive; queste operazioni venivano eseguite sotto la guida degli architecti.



"In quella posizione un lato dell'accampamento era difeso dal fiume e la zona
retrostante era al sicuro dal nemico, cosicché i rifornimenti procurati dai Remi
e dalle altre popolazioni alleate potevano arrivare senza pericolo ai Romani.[...]
fece poi fortificare l'accampamento con un trinceramento alto dodici piedi
preceduto da un fossato largo diciotto piedi." Libro II V; pagina 119.
 




                                     1) praetorium;
                                     2) via pricipalis;
                                     3) via praetoria.
                                     Ingressi:
                                     4) dextra;
                                     5) praetoria;
                                     6) sinistra;
                                     7) decumana.
 
   Un esempio dell'elevata competenza tecnica delle legioni lo abbiamo dalla costruzione dell'accampamento. Sempre in posizione favorevole, spesso su un'altura, l'accampamento aveva pianta rettangolare e un'entrata su ogni lato. Le porte erano collegate tra loro da due vie perpendicolari che tagliavano il campo in croce. Intorno al perimetro del campo veniva scavato un fossato; il materiale di risulta veniva usato per creare un terrapieno sul quale veniva innalzata un palizzata. E' interessante notare che queste operazioni venivano portate a termine in poche ore, segno questo dell'elevata capacità tecnica e organizzativa delle legioni.


Ricostruzione di un accampamento.

   In questo modo, l'accampamento diventava non solo un luogo protetto dove radunare le legioni ma anche una base d'appoggio per il controllo del territorio e per nuove offensive.







mercoledì 23 aprile 2014

Le navi dei Veneti

   Nel terzo libro Cesare deve affrontare i Veneti, popolazione celtica stanziata in Bretagna nel Morbihan. Era la popolazione più importante di quella regione grazie alle superiori conoscenze nella navigazione.


   Le navi dei Veneti erano diverse da quelle dei Romani; la navigazione nell'Oceano era infatti diversa da quella nel Mediterraneo. In generale, queste navi erano più resistenti. Erano infatti costruite in legno di quercia, con pruapoppa rialzate per resistere alle tempeste dell'Oceano; per lo stesso motivo non vi erano vele ma pelli. La carena era piatta per affrontare meglio le basse maree e i bassi fondali.









" ...carene piatte più di quelle delle nostre navi, per potersi adattare, più facilmente, alla poca profondità e alla bassa marea; prore e poppe molto rialzate, adatte a sopportare le grandi ondate del mare in tempesta; tutte costruite di legno di quercia, capace di resistere ai colpi più violenti; le travi, fatte con legni dello spessore di un piede, erano confitte con chiodi larghi un pollice; le ancore erano legate non con funi, ma con catene di ferro, invece di vele vi erano pelle e cuoi pieghevoli e sottili, sia perchè mancava il lino o non lo si sapeva usare, sia perchè (ed è forse questa la ragione) si pensava che le vele non avrebbero potuto agevolmente sostenere le grandi tempeste dell'Oceano e l'impeto dei venti, nè reggere navi tanto pesanti... ". Libro III, XIII; pagina 167. 
   
    Le successive considerazioni di Cesare ci permettono di capire meglio i vantaggi in combattimento di queste navi. Le navi dei Veneti erano molto robuste e non potevano essere danneggiate nè dai rostri (rostro) delle navi romane nè da improvvise tempeste. Inoltre, erano difficili da bersagliare con dardi a causa della loro altezza ed erano in grado di   muoversi, con più sicurezza delle navi romane, attraverso bassi fondali.                                                                                                       

lunedì 31 marzo 2014

Contestualizzazione storica

   Nato nel 100 a.C., appartenente alla gens Iulia, Caio Giulio Cesare intraprende il cursus honorum a trent'anni; relativamente tardi per un esponente dell'aristocrazia. Agitata da tensioni sociali mai risolte, ferita dalla guerra civile tra Mario e Silla, Roma è scossa da scandali, congiure e violenze. Due partiti, il senatoriale e il democratico, occupano la scena politica. Il governo è paralizzato da interessi contrastanti e ogni azione importante cade nel nulla. Ad incendiare ulteriormente il clima sociale, concorrono anche il mancato riconoscimento delle importanti conquiste del comandante Gneo Pompeo e il mancato pagamento dei veterani. In questa situazione, Cesare si muove da uno schieramento all'altro con gesti clamorosi e demagogici. "Vuoto di potere" è forse il termine che meglio descrive la situazione a Roma; vuoto di potere che verrà presto colmato. Intanto Cesare prosegue il suo cursus honorum; nel 62 è pretore e poi propretore in Spagna, dove si arricchisce a spese dei sudditi. Tornato a Roma nel 60, Cesare fa facilmente leva sulle mire del potentissimo Crasso e sui risentimenti di Pompeo. Nasce così nel 60 il Primo triumvirato, un'alleanza segreta per il controllo economico, politico e sociale di Roma. Questi tre uomini, infatti, avevano nelle loro mani rispettivamente il popolo, gli affari e l'esercito; colmavano insieme il vuoto di potere che governava Roma. Nel 59 Cesare è eletto console insieme al collega Bibulo, che viene messo subito in disparte. La legge stabiliva che il console, al termine della magistratura, avrebbe ottenuto il governo di una provincia e il comando delle legioni in essa presenti. In quell'anno muore il governatore della Gallia Cisalpina e Cesare ottiene, al termine del consolato, quel governo. La regione non era sicura; era infatti minacciata nei suoi confini da orde di Elvezi e, in generale, dall'insediamento della pericolosa gente germanica degli Svevi.



"La Gallia, nel suo insieme, è divisa in tre parti: una abitata dai Belgi, un'altra dagli Aquitani, la terza dai popoli chiamati localmente Celti e da noi Galli." Libro I, I; pagina 41.

Nel 58 Cesare prende le armi contro Elvezi e Germani, su richiesta degli Edui; questi scontri segnano l'inizio della guerra gallica. Nel 57 si armano i Belgi ma sono anche loro sconfitti insieme ai Nervi. Riconfermato nel 56 il triumvirato, nel 55, in concomitanza con il consolato di Crasso e Pompeo, viene riconfermato a Cesare il governo della Gallia. Sempre nel 55 Cesare porta la guerra in Germania e in Britannia; le prime testimonianze storiche dei popoli di quest'ultima regione sono legate a questa spedizione. Nel 54 è ancora in Britannia e successivamente di nuovo in Gallia per sedare focolai di una pericolosa ribellione. L'anno successivo è segnato dal decesso di Crasso e il 52 da una rivolta generale della Gallia, guidata da Vercingetorige e stroncata dal genio militare di Cesare ad Alesia; questo è anche l'anno in cui viene scritta La guerra gallica. Nel 51 la Gallia era definitivamente sottomessa. Il triumvirato era intanto decaduto: Crasso era morto e Pompeo si era riavvicinato al Senato contro Cesare. Proprio il Senato ordina di sciogliere il potente esercito a Cesare, il quale rifiuta e passa in armi il Rubicone, confine oltre il quale era proibito procedere in armi; è guerra civile con Pompeo. Cesare sconfigge Pompeo a Farsalo nel 48 e nel 44 le restanti truppe pompeiane a Tapso in Africa. Tornato a Roma, unico vincitore, è nominato dittatore a vita. Il 15 Marzo del 44 viene ucciso dai congiurati, guidati da Bruto e Cassio. Nel testamento Cesare aveva indicato come suo successore Giulio Cesare Ottaviano, colui che diventerà il primo imperatore romano.
   In generale, il periodo storico in questione è segnato dalla crisi delle istituzioni repubblicane. Il contesto economico e sociale in cui era nata e si era sviluppata la Repubblica era ben diverso da quello della Roma del I secolo a.C; ormai il potere era nelle mani di chi comandava le legioni. E così, partendo dai primi sinistri scricchiolii della guerra civile tra Mario e Silla, passando per i sordi boati della guerra tra Cesare e Pompeo, assistiamo al rovinoso crollo della Repubblica e all'ascesa del primo imperatore.

domenica 30 marzo 2014

Il libro

Caio Giulio CESARE, La guerra gallica, Milano : Rizzoli, 2011.



Testo completo disponibile all'indirizzo http://www.loffredo.it/AML/CLL/gallicos.pdf.


martedì 25 marzo 2014

Premessa

   Il presente blog è parte integrante del corso di Storia della tecnologia, tenuto dal professore Vittorio Marchis al Politecnico di Torino. Scopo di questo blog è l'analisi del testo "La guerra gallica" di C. G. Cesare dal punto di vista strettamente tecnologico. Saranno cioè approfondite le parti del testo che trattano della tecnologia applicata al settore militare e a quello civile. Ritengo necessario, per chiarezza e organicità, procedere per argomenti; precisi riferimenti al testo saranno inseriti nei posts. L'analisi sarà preceduta da una contestualizzazione storica.